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Two Words with writer Alessandro Fabbri

Two Words with writer Alessandro Fabbri
Two Words with Alessandro Fabbri - autore, scrittore e capo progetto dell'ultima serie di Netflix - Fedeltà.

Tu sei l’head writer, il capo progetto che non è lo showrunner americano vero?
Vuoi magari darci una definizione o dirci qual è la differenza?


Esatto, il ruolo di head writer non è quello dello showrunner statunitense. L’head writer è il capo della scrittura di una serie: lavorando gli altri sceneggiatori, imposta la serie a livello creativo fin dal concept, poi nella cosiddetta bibbia che contiene le intenzioni narrative e stilistiche generali, infine nell’ultima fase che corona il processo di scrittura, ovvero le sceneggiature. Oltre a scrivere o co-scrivere in tutte queste fasi, l’head writer ha un ruolo di supervisione sul lavoro degli altri autori. Durante lo sviluppo, poi, si raccolgono i feedback del reparto editoriale della casa di produzione e del network, Netflix nel caso di Fedeltà: si fanno molte riunioni mentre si continua a scrivere. Il lavoro dell’head writer continua durante le riprese: le sceneggiature continuano a vivere durante le settimane di set. Si apre il dialogo coi registi e con gli attori, con l’obiettivo di lavorare tutti nella stessa direzione e far fiorire la personalità della serie. Quello dell’head writer è un lavoro bellissimo e molto impegnativo, dove la creatività pura della scrittura si sposa con l’energia concreta che si sprigiona quando la serie viene realizzata: per questo mi piace.
Lo showrunner statunitense ha un vasto repertorio di responsabilità produttive: è il capo dell’enorme macchina che si mette in moto quando si produce una serie.

È difficile adattare un libro? Quanto puoi metterci di tuo o devi essere per forza fedele al testo del romanzo?


Adattare un libro è sempre una sfida. Il mio modo di affrontarla è cercare di comprendere il nocciolo del romanzo, il suo tema più profondo. Nel caso di Fedeltà il tema era limpido e molto interessante. A chi dobbiamo essere fedeli, a noi stessi o agli altri? Questa domanda è la palla che il romanzo di Marco Missiroli ha lanciato alla serie. Essere fedeli a Fedeltà, per me e le mie co-autrici Laura Colella e Elisa Amoruso, ha significato continuare a interrogarsi su quella domanda e farla vivere nell’animo dei personaggi. Se esplori lo stesso tema affrontato dal romanzo, senti di rispettarne l’intenzione: questa è la cosa che conta. Uno dei punti di forza del romanzo Fedeltà era il racconto dell’interiorità dei personaggi, i loro pensieri, le loro emozioni. Nel linguaggio drammaturgico, i pensieri devono diventare gesto e parola, le emozioni devono emergere in linee narrative. Ed è qui che ci metti del tuo, come sceneggiatore: inventi nuovi colpi di scena, nuove situazioni, nuovi personaggi, per rendere visibile l’invisibile del romanzo.

A che cosa ti sei ispirato per la serie Fedeltà? Quali sono i tuoi scrittori di riferimento? I tuoi libri? Il tuo mondo narrativo?


Per la serie ho voluto ispirarmi solo alla fonte di origine, il romanzo di Fedeltà: ma spesso faccio così, lascio che i riferimenti mi arrivino in mente da soli, se vogliono, non li vado a cercare. Per me è il modo migliore di trovare la voce di una serie, lasciare che nasca da sé.
Detto questo, sono un lettore onnivoro e i miei scrittori di riferimento sono tanti, e sono cambiati nelle varie fasi della mia vita. Il mio primo mito, lo scrittore che mi ha fatto innamorare della scrittura, è Stephen King. Amo molto gli autori americani esplosi negli anni ’90, Bret Easton Ellis, McInerney. Da amante del thriller e del noir, ho letto tutto Ellroy. Tra gli italiani, Scerbanenco, Buzzati, Calligarich, il mio conterraneo Eraldo Baldini con cui ho scritto un romanzo a quattro mani, Quell’Estate di Sangue e di Luna, che tornerà in libreria tra pochi mesi. E Marco Missiroli, che ho conosciuto proprio grazie a Fedeltà. Sto tralasciando tantissimi altri. E poi gli sceneggiatori, che sono scrittori che usano un diverso linguaggio: autori che hanno fatto la storia del cinema e della serialità. Robert Towne autore di Chinatown, Paul Schrader, Aaron Sorkin, Matthew Weiner il creatore di Mad Men, Vince Gilligan che ha ideato Breaking Bad, Joe Armstrong che ha scritto una delle più belle serie degli ultimi anni, Succession. Paolo Sorrentino, che oltre a essere un grande regista è anche un grande sceneggiatore, ha una voce unica. Di nuovo, potrei continuare a lungo.

Quando c’è un team di scrittori in Italia come si lavora? E all’estero? Hai qualche esperienza?

Quando si scrive una serie quasi sempre si lavora in team. Si fanno molte riunioni, si parla e si discute, si esplorano idee a tutto campo, dai personaggi alla storia. Quando la serie ha preso forma, ci si divide per scrivere in parallelo diversi episodi, salvo poi tornare a confrontarsi, leggendosi a vicenda. Così funziona la cosiddetta writers’ room. Che nel frattempo lavora col reparto editoriale della casa di produzione e con i produttori del network. A livello creativo, funziona più o meno così anche all’estero. Quello che cambia, soprattutto il Paesi come gli Stati Uniti, è che lì spesso gli scrittori sono anche executive producers. Quello che noto è che negli ultimi anni anche qui in Italia il processo di scrittura si sta organizzando secondo un modello più vicino alla industry anglosassone, i ritmi sono più veloci, l’organizzazione del lavoro tiene conto di un confronto più fitto e intenso con produttori e network durante lo sviluppo. È un momento di grande fermento e cambiamento, in cui tutti gli elementi dell’industria sono chiamati a una sfida: ora una serie italiana può raggiungere gli spettatori di 200 Paesi, è inserita in un mercato globale. Quello che mi auguro è che qui in Italia il lavoro di scrittura si organizzi e si strutturi sempre meglio, proprio per raccogliere in pieno questa sfida, in cui si deve lavorare ad alto ritmo cercando allo stesso tempo di lanciare storie nuove e originali.
Quanto alle mie esperienze a contatto con altri Paesi, sto lavorando da qualche tempo a un progetto in cui sono coinvolti gli Stati Uniti a livello creativo e produttivo: è stata un’occasione per imparare molto, anche a livello di tecnica.

A quali progetti stai lavorando ora?


Quest’ultimo a cui ho accennato, di cui non posso ancora dire nulla. Poi, in cantiere ci sono nuove idee e nuovi progetti già avviati: anche qui, devo aspettare un po’ di tempo prima di poterne parlare di più.

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